Pietro Morlacchi (1868-1928), Antonio Torriani (1869-1911)
Fantasie d'opera
Le grandi fantasie operistiche (come quelle sul Mosè in Egitto per flauto di Morlacchi o sulla Lucia di Lammermoor per fagotto di Torriani) erano di fatto il pilastro dell’editoria milanese di Francesco Lucca e Ricordi (Tito e Giulio). I dilettanti di musica potevano variare in una scala di dominio strumentale dall’amatore al concertista. Le fantasie strumentali pertanto venivano modellate ‘su misura’ del committente, ed alimentavano di fatto un mercato in continua espansione. Quando alla fine dell’ottocento le figlie di Lucca cedettero le lastre paterne a casa Ricordi, la cifra pagata da Ricordi per l’assimilazione commerciale fu immensa per l’epoca, segno che il mercato dei dilettanti strumentisti in Italia si era ingigantito. La storia di Pietro Morlacchi e Antonio Torriani è dunque la storia stessa della fortuna del genere della musica strumentale in Italia, e per la qualità e la vivacità della loro scrittura virtuosistica è ancora oggi godibilissima in sede concertistica. I riduttori d’opera in Italia furono quasi sempre strumentisti, e la loro paziente opera d’artigianato musicale non separava la perizia strumentale dall’invenzione di variazioni di bravura, ovvero composizione e virtuosismo coesistevano e formavano l’ossatura dell’opera. Nel catalogo ottocentesco editoriale sopravvivevano solo quei brani di assoluta sostanza musicale: i terzetti di Morlacchi e Torriani appartengono a questa felice minoranza.